Tra le tante vetrine di via Grande, ce n’è una davvero speciale. Quella della libreria Belforte, monumento a una storia di passione e competenza: la storia della famiglia Belforte, autentica dinastia di editori e librai ebrei. Et voluisse saltent, anche l’averci provato è abbastanza, il loro motto. Gente tenace e concreta, che dal 1805 (anno in cui il capostipite Joseph Belforte pubblica a sue spese un libro di preghiere nella tipografia di Elieser Sadun) diffonde il bene della conoscenza. La libreria è aperta dal 1899, la casa editrice compie 176 anni d’attività.
Guido Guastalla è da quasi nove anni ai vertici della ditta. La sua discesa in campo coincide con uno dei momenti più difficili per la Salomone Belforte & C., che nel 2001 rischia di chiudere per ingenti difficoltà economico finanziarie. “Mi piangeva il cuore – spiega – a pensare che una vicenda umana così significativa e duratura potesse di colpo sparire. Ho fatto un grande sacrificio per tenerla in vita, ma non potevo fare altrimenti. Per me è stata soprattutto una questione affettiva”.
Guastalla subentra al cugino Paolo, che dal suo ingresso in azienda negli anni Cinquanta ha avuto un ruolo fondamentale nel consolidamento del marchio. Il nuovo presidente, che succede a un uomo capace di portare in libreria personaggi del calibro di Indro Montanelli e Piero Chiara, fissa due obiettivi: riassestamento economico della ditta e un rapporto più specifico con il mondo ebraico. Con Guastalla riparte l’attività editoriale, da tempo ferma.
Vengono pubblicati libri che trattano di ebraismo a 360 gradi: testi sulla Shoah e su Israele, ma anche relazioni di convegni e poesie amorose. “Siamo sulla buona strada per diventare una casa editrice di nicchia, pur consapevoli della presenza sul mercato di rivali agguerriti e competenti. Penso ad esempio alla Giuntina della famiglia Vogelmann, a cui sono peraltro legato da un rapporto di sincera amicizia”. Guastalla mostra con fierezza l’albero genealogico della sua famiglia: nove generazioni di editori.
Tra i suoi predecessori anche Guido Belforte, nominato commendatore nel 1938 su ordine del re e di Mussolini. Un titolo onorifico destinato quasi subito a divenire carta straccia con le leggi razziali. In quegli anni i Belforte devono lasciare la ditta, che fino al termine del conflitto è intestata ad amici cattolici e assume il nome di Stabilimento poligrafico toscano per la parte tipografica e di Società editrice tirrena per quella editoriale e di libreria. Oggi Guastalla si avvale della collaborazione dei figli Ettore e Silvia.
Proprio quest’ultima, quattro anni fa, riceve una telefonata dagli Stati Uniti: il professor Artur Kiron della Penn State University, grande amico dei Guastalla, chiama per dirle che ha appena terminato una lunga conversazione sul mondo editoriale con lo studioso Shalom Zabar. Da quella conversazione emerge un fatto commovente: il giovane Zabar, che passava giornate intere nella biblioteca di Mosul in Iraq, prediligeva i libri di una casa editrice ebraico livornese che credeva ormai scomparsa da tempo: la Belforte. “I nostri volumi – dice Guastalla – sono sempre stati sinonimo di alto livello contenutistico e raffinatezza grafica. Copie venivano diffuse praticamente ovunque. Belforte era il maggior fornitore di libri di preghiera delle comunità nordafricane, levantine e orientali.
Ogni versione era differente, rispettosa di ciascun minhag”. La tipografia sforna adesso libri di attualità. L’ultimo è il diario della madre di Ilan Halimi, il giovane ebreo parigino massacrato da una banda di integralisti nel 2006. “Un libro stupendo e straziante”, spiega Guastalla.
Che introduce le prossime uscite: a breve in stampa i diari di rav Chidà (che rav Alberto Moshè Somekh sta traducendo in italiano), un volume dedicato ai grandi mercanti ebrei livornesi del Seicento e Settecento e un ricettario di cucina sefardita.
Fuente: UCEI